Basta la parola

Parte l’edizione numero 13 del Grande Fratello, il più famoso dei cosiddetti reality show che tanto piacciono al pubblico. Una delle novità di quest’anno è la presenza di una concorrente alla quale, a seguito di un incidente, è stato amputato un braccio. “Una concorrente con handicap”, riporta La Stampa; “sarebbe la prima volta che viene mostrato, con la compiacenza delle telecamere, questo tipo di handicap”, scrivono Il Giorno e l’Huffington Post Italia. Ecco, a leggere questi primi lanci a poche ore dall’inizio della trasmissione, potrei pedantemente rilevare che il termine “handicap”, come “diversamente abile”, è ormai da archiviare. Che esiste una Convenzione ONU di cui l’Italia è firmataria che si occupa dei diritti delle “persone con disabilità”: persona prima, e poi con una disabilità. O che negli ultimi tre anni l’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità ha elaborato il primo rapporto all’ONU sulla attuazione della Convenzione in Italia e il primo programma d’azione in materia di disabilità approvato dal Governo. E che questi passi importanti sono stati costruiti mettendo a lavorare assieme, sin dall’inizio, le istituzioni e le associazioni rappresentative delle persone con disabilità. E invece no. Dico che questa può essere l’occasione (la seconda, dopo la presenza di un concorrente cieco qualche anno fa) di fare un po’ di cultura dell’inclusione attraverso un programma che più popolare non si può, cominciando, magari, a utilizzare i termini giusti e ricordando che una disabilità si misura in relazione all’ambiente che abbiamo intorno. E partendo da quello che la stessa concorrente ha detto: “Prendetemi e vi dimostrerò che un’invalidità non è invalidante”. Magari non basta la parola, ma è sicuramente un buon inizio.

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