Caro Corrado

Caro Corrado,

mi chiamo Alfredo Ferrante, ho 52 anni e faccio il dirigente pubblico in una amministrazione centrale dello Stato. Seguo con una certa assiduità la sua trasmissione, presso la quale, peraltro, ho avuto il piacere di intervenire brevemente qualche anno fa in un paio di occasioni.

Posso dunque definirmi uno spettatore affezionato, con un appuntamento pressoché fisso ogni giovedì sera: devo dire, tuttavia, di aver provato una sincera delusione nell’assistere, nella puntata di Piazzapulita dello scorso 5 novembre, allo scambio fra lei e l’onnipresente Massimo Cacciari, che ha tuonato contro i colleghi dello Stato e del parastato che hanno poco da star tranquilli, posto che la crisi non può pagarla una metà del Paese.

Potrebbe qui aprirsi un’ampia discussione su quale effettivamente sia questa metà del Paese, ma non è questo il punto. La cosa che mi è francamente dispiaciuta è sentirla parlare, in risposta a Cacciari, di coloro che hanno “il culo al caldo, grazie allo stipendio”, e che possono permettersi di aspettare. Mi è dispiaciuto – provo a spiegare – perché mi ha stupito che in una trasmissione televisiva così seguita, solitamente poco urlata, si sia potuto trascendere utilizzando termini francamente inaccettabili.

Voglio essere chiaro: non intendo partire con difese d’ufficio dei dipendenti pubblici o dei dipendenti privati. Come cittadino di questo Paese nutro, come tutte le persone dotate di buon senso, forte preoccupazione per coloro che in questi mesi se la stanno passando male. Malissimo. Sono concittadini che gestiscono ristoranti, lavorano nel turismo, fanno i liberi professionisti, hanno partite IVA. È superfluo dire che se si azzoppa definitivamente l’economia, il conto lo paga il Paese, ovvero tutti noi. E, aggiungo, credo nessun lavoratore dipendente abbia a che dire nel dare un contributo di qualche tipo a sostegno dei lavoratori e delle famiglie in difficoltà, a patto di un’ovvia progressività e generalità della platea.

Detto questo, torno alla questione. Perché mai chi ha avuto la possibilità di lavorare in questi mesi difficili dovrebbe essere apostrofato in tal modo? Perché si presume che aspettino tranquillamente gli eventi per il sol fatto che percepiscono uno stipendio? Forse che i “garantiti” (altro termine che va per la maggiore) non hanno figli, fratelli, amici che stanno soffrendo della crisi? Caro Corrado, mi consenta un’ovvietà: lo tsunami economico e sociale che imperversa da marzo, e che sta purtroppo ora riprendendo con forza, lo causa la pandemia. Non certo le lavoratrici e i lavoratori dipendenti: costoro hanno continuato a lavorare, da remoto o negli uffici, e continuano a farlo. Fanno il proprio dovere e a fronte del loro lavoro ricevono uno stipendio. Si chiama sinallagma.

Dov’è la colpa? Forse che per risollevare il Paese chi ha la possibilità di continuare a lavorare e, magari, di contribuire a far circolare qualche soldo, dovrebbe perdere il proprio lavoro? Essere punito? Penalizzato? Io sono convinto che in una democrazia avanzata lo scopo finale sia aumentare diritti, garanzie e benessere per tutti. Esigere, come richiede la Costituzione, “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” e, al contempo, far sì che nessuno resti indietro. Garantire i diritti di tutti i lavoratori. Aiutare i precari. Creare le condizioni, insomma, perché la nostra sia davvero una Repubblica fondata sul lavoro.

Veda, sono del parere che utilizzare espressioni di questo tipo, che purtroppo abbondano in una rete spesso tossica (in un mio recente articolo ho contato e raccolto un’ottantina di epiteti che quotidianamente possono trovarsi sui social a danno dei lavoratori del settore pubblico, categoria alla quale mi onoro di appartenere), non fa altro che alimentare la grande inquietudine che stiamo vivendo. Si finisce, pur non volendo, con l’offrire a chi si trova ingiustamente penalizzato dagli effetti della diffusione del virus un facile bersaglio verso cui sfogare la propria legittima rabbia. A cosa serve se non a esacerbare il conflitto sociale? Domani a chi toccherà?

Voglio sperare che possa leggere questa lettera e riconsiderare l’utilizzo di certe espressioni. Possiamo e dobbiamo parlare di tutto, senza sconti: ma non priviamo i lavoratori della loro dignità. Esattamente la stessa dignità che è a rischio per coloro cui la pandemia sta portando via tutto e per i quali occorre una mobilitazione senza precedenti.

Con molta cordialità,

Alfredo

4 Replies to “Caro Corrado”

  1. Carissimo Alfredo, sperando tu stia bene, mi congratulo per la tua consueta chiarezza ed onestà intellettuale. Purtroppo gli untori non sono soltanto quelli che diffondono virus, ma anche gli opinionisti più in voga. ….ma la ruota gira….come diciamo dalle nostre parti. Un abbraccio.

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