L’Economist, in un suo recente articolo, ne ha parlato come giuramento d’Ippocrate per manager, mentre il Sole 24 Ore lo ha definito giuramento etico: comunque lo si voglia definire, fatto sta che lo scorso 3 giugno più di 400 diplomandi della Business School dell’Università di Harvard hanno prestato solenne giuramento, pur in una cerimonia non ufficiale, di servire il bene comune e di agire con la massima integrità.
Atto simbolico, passo importante, non necessario: le opinioni registrate sono diverse e, tutto sommato, non troppo entusiaste. A mio modo di vedere, i risvolti sono positivi, a patto di essere ben consci che impegni di questa natura, come i codici etici, hanno valore in quanto i comportamenti seguenti possano essere monitorati, valutati e, eventualmente, sanzionati dagli stakeholder di riferimento.
Certamente la crisi, che ha colpito più duramente che altrove gli Stati Uniti d’America, e le immagini di sfratti selvaggi da un lato e di manager con scatoloni dall’altro, ha scosso profondamente la pubblica opinione. La corsa al massimo profitto nel brevissimo periodo ha contribuito a generare bolle di cui hanno pagato le spese, soprattutto, le persone comuni. Provare a generare fiducia, sia pure con riserva, mi pare sia un passo nella giusta direzione.